Scrittura e produzione

La scrittura

Quando chi è nato intorno al 1930 se ne andrà, non spariranno solo delle persone. Sparirà la memoria collettiva dell’ultima generazione che ha vissuto il mondo fino a ieri.

Ricordi di immagini, di suoni e silenzi, di paesaggi e colori, di modi d’essere e di comportarsi non più ripetibili né riproducibili.

Fino agli anni cinquanta in molti luoghi in Italia la vita e la narrazione del mondo si tramandavano di generazione in generazione quasi identiche. Nei secoli ci sono stati cambiamenti importanti, ma lenti, che non smentivano mai l’idea fondante dei rapporti con gli altri e con la vita. I genitori tramandavano ai figli ciò che avevano imparato da nonni e bisnonni. Ed i figli crescevano in un mondo riconoscibile: chi nasceva in campagna avrebbe vissuto essenzialmente nella stessa dimensione spazio temporale delle generazioni precedenti.

Dagli anni cinquanta ha smesso di essere così; fino all’accelerazione vorticosa dei cambiamenti nel nostro presente.

Questa memoria fra pochissimo sarà definitivamente perduta.

Restituirla è un’urgenza che è diventata ancora più pressante con lo scoppio, dopo l’avvio del progetto, della pandemia. Pensavamo di mettere al sicuro racconti da un mondo che non c’è più, quello delle generazioni precedenti alla nostra; e di farlo per la generazione successiva alla nostra, e quelle dopo. Generazioni che non avrebbero avuto la possibilità di incontro diretto con quelle persone e quei mondi; pensavamo, insomma, che il valore della nostra raccolta sarebbe emerso piano piano, con il tempo.

Ora ci pare invece che questo valore sia presente ed urgente, che non riguardi solo i figli e nipoti, ma piuttosto una società intera, che corre il rischio di perdere il contatto con decine di migliaia di biografie: il contatto con la propria memoria collettiva.

Il tempo del racconto è un tempo sospeso, che non ha riferimenti nel calendario e soprattutto non li ha nella Storia, quella della periodizzazione e della cronaca, quella di Tebe dalle sette porte che chi la costruì.

E’ un tempo circolare, in cui non cerchiamo archi narrativi ma momenti di epifania, momenti di sospensione.

E’ il tempo lungo del cinema documentario, il tempo disteso con cui le persone di quel mondo novecentesco ci hanno raccontato la loro storia – ed, a pensarci bene, è il loro tempo quello realmente lungo, dato che tutte assieme ci hanno messo a disposizione forse quattromila anni di vita.

E’ il tempo di mia nonna, in cui il ciclo era quello delle mucche e dell’alpeggio, indifferente agli anni e distinto in due sole stagioni, quella in cui si fa il formaggio di fieno e quella in cui si fa il formaggio di erba, ed il formaggio è formaggio, ed ha solo due nomi: sprèssa quello dell’inverno, formài quello dell’estate, ed entrambi i formaggi sostengono i vecchi e fanno crescere i bambini; un tempo immobile in cui niente accade ed accade tutto.

E’ il tempo rimasto.

Stefano Collizzolli e Daniele Gaglianone

Note di produzione

Il Tempo Rimasto è nato, quasi sgorgato, da un lungo viaggio in Italia iniziato nel 2019 grazie al progetto ARCHIVIO ’900 (curato da ZaLab Film per Luce Cinecittà), ovvero la costruzione di un Archivio digitale dedicato alle memorie delle ultime persone che hanno vissuto il mondo e la vita prima delle grandi trasformazioni tecnologiche del ‘900. Com’era la vita prima dell’elettricità, prima della macchina, prima del riscaldamento, prima del telefono, prima della televisione?


Abbiamo pensato che servisse qualcuno capace di raccontarlo direttamente e che purtroppo erano rimasti pochi anni per poterlo fare. Le interviste integrali di ARCHIVIO ‘900 saranno presto disponibili sul sito dell’Archivio Luce.


Andrea Segre